diade - 2025
70'
Ave Medea è una preghiera generativa, collettiva e poetica. È un dispositivo scenico che dissolve i confini tra teatro, musica, poesia e installazione performativa.
È un paesaggio.
La scena è uno spazio spoglio, brutale e solenne. È la camera del segreto, la stanza della tragedia. Una selva di sessanta aste microfoniche nere compone un volume architettonico, un'installazione scultorea mutante. Linee spezzate, vuoti, tensione verso l’alto, come a cercare la luce o l’aria. Profondità, riflessi, durezza. Puntelli contro le rovine di una landa desolata. Sono aste senza microfono: una funzione interrotta, surreale, una possibilità in attesa. Uno spazio pieno che suggerisce un silenzio, un vuoto, in qualche modo un luogo sacrale, un teatro misterico. In una luce livida, orizzontale e diffusa, si scorgono due figure. Sullo sfondo, uno spiraglio di luce ci fa intuire l’esterno, ciò che è al di là.
Siamo sulla soglia.
Lo spettacolo si apre con uno squarcio. Il cadavere è nella stanza. Il pubblico non può ignorarlo. Le parole di Medea guidano il nostro sguardo, uno sguardo pornografico, da peep-show, quello con cui osserviamo assuefatti e imperturbabili le rovine del mondo che ci circonda. La desolazione interiore e la devastazione che Medea ci mostra non può che condurci verso la periferia della narrazione e la costruzione di un grande paesaggio poetico il cui sfondo è Medea stessa: il suo dramma, l’atto tragico, è archetipo della condizione umana.
Ave Medea is a generative, collective, and poetic prayer.
A scenic device that dissolves the boundaries between theater, music, poetry, and performative installation.
It is a landscape.
The stage is stripped bare—brutal, solemn. It is the chamber of secrecy, the room of tragedy. A forest of sixty black microphone stands rises to form an architectural body, a living sculpture in flux. Fractured lines, empty spaces, a tension straining upward—as if reaching for light, or for air. Depth. Reflections. Harshness. Struts propped against the ruins of a desolate land. They are stands without microphones: a broken-off function, surreal, a possibility suspended in waiting. A space so full it summons silence, emptiness—somehow sacred, a theater of mysteries. In a pale, horizontal, diffused light, two figures appear. At the far edge, a slit of brightness hints at the outside at what lies beyond.
We are at the threshold.
The performance opens with a wound. The corpse is in the room. The audience cannot look away. Medea’s voice directs our gaze — a voyeuristic, peep-show gaze — with which we stare, numbed and unflinching, at the ruins of the world around us. The inner desolation and devastation she reveals draw us to the periphery of the narration and the construction of a vast poetic landscape whose backdrop is Medea herself: her drama, the tragic act, is an archetype of the human condition.
“Il paesaggio ha vita più lunga rispetto all’individuo. E nel frattempo attende la scomparsa dell’uomo, il quale lo sfrutta senza alcun riguardo per il proprio futuro di appartenente a una specie.” (H. Müller)
“Questi frammenti con cui ho puntellato le mie rovine” (T.S.Eliot, The Waste Land)
“Paesaggio con Argonauti presuppone le catastrofi che l'umanità sta attualmente preparando. [...] Come in ogni paesaggio, in questa parte del testo l'Io è collettivo. La simultaneità delle tre parti del testo può essere illustrata a piacere.” (H. Müller)